Intervista a Ilary Bottini, artista tessile

Intervista a Ilary Bottini, artista tessile

Oggi vi racconto l’intervista a Ilary Bottini, artista tessile, dei suoi arazzi colorati, ordinati e geometrici, voluminosi e spiazzanti.

Lasciatevi catturare da lei e dalla sua storia.

Farà parte della MiniArTextil, una delle esposizioni più famose in europa di fiber art.

In che modo ti sei diventata un’artista tessile, in particolare della tessitura al telaio?

“Mentre vivevo a Parigi ho fondato un blog dove parlavo principalmente di decorazione di interni e di progetti DIY per la casa. Ero sempre alla ricerca di novità in tema di interior design, e navigando su Internet ho scoperto il lavoro di una textile designer del sud della Francia che per puro caso avrebbe tenuto un workshop di tessitura principianti a Parigi qualche settimana dopo. Mi sono subito iscritta, più che altro per poter parlare di questa tendenza nel mio blog. In verità è stata una rivelazione, ho realizzato li con lei il mio primo arazzo su un piccolo telaio a cornice come quelli che uso oggi per i miei workshop e non ho mai smesso.

Sono stata immediatamente sedotta dalla potenza creativa di questa antica arte, dal processo lento e meditativo.

Mi sono presto resa conto che era l’unica forma creativa attraverso la quale avrei potuto esprimermi, non sono stata io a trovare la tessitura, ma lei a trovare me”.

Come artista tessile, qual è il processo che segui mentre crei un arazzo?

“La progettazione per me funziona fino a un certo punto, anche quando creo schizzi e design su carta o su Photoshop, mentre tesso visualizzo forme, colori e soprattutto volumi che non sempre sono su carta prima di iniziare. Un arazzo è un progetto in divenire, spesso il lavoro finale non rispecchia minimamente l’idea iniziale, è un flow libero. Quando si tratta di commissioni invece il cliente mi da indicazioni precise su palette di colori e dimensioni e sempre nel rispetto della mia estetica e del mio stile creo a partire da queste indicazioni generiche”.

Fili si intrecciano agli orditi alla base del telaio in un continuo abbraccio e coesistenza. A volte i tuoi arazzi sono geometrici e piatti, altre casuali, voluminosi e densi; in che modo cambiano loro e cambi tu mentre li crei?

“Come scrivevo qualche tempo fa scherzando in un post su Instagram, il mio processo creativo segue le stesse dinamiche del dolce e salato, hai presente quando mangi qualcosa di salato e immediatamente dopo ti viene voglia di dolce, e viceversa? Spesso mi rendo conto che è cosi anche con i miei lavori, dopo aver creato un arazzo piatto e denso di forme geometriche (quindi di matematica e calcolo minuzioso di punti e diametri), mi viene voglia di lavorare a un weaving pieno di volumi, con fibre di merino e frange che escono letteralmente dal muro, dando al lavoro un aspetto 3D. Per quanto riguarda la personalità e il mio io, sono sempre rispecchiati in ogni opera, anche quando tesso in nero nelle mie creazioni ci sono sempre degli sprazzi di colore o delle frange dolci in seta”.

Cosa provi mentre tessi?

Una presenza consapevole, un’immersione nel qui e ora che nient’altro mi ha mai dato, se non forse la pratica dello yoga. La tessitura è un’attività molto solitaria, che ti obbliga a riappropriarti del tuo dialogo interiore, poiché passi giornate intere sola davanti a un telaio. In questo senso oserei persino definirla come una forma di terapia. Dopo tanti giorni di lavoro a un design, mi è già capitato di smontarlo dal telaio e piangere dall’emozione e dallo stupore di vedere qualcosa che era nella mia testa prender forma nel mondo reale. Mai nella vita ho provato una sensazione simile in ambito professionale, neanche quando vincevo gare e clienti grossissimi in agenzia o lanciavo campagne di comunicazione milionarie in azienda”.

Che senso ha per te intrecciare fili?

“Trovo che vedere delle matasse di filo prender forma e diventare tele o tappeti semplicemente grazie a un intreccio sia un processo potentissimo.

Tre cose danno un senso alla mia vita professionale: la prima è la creazione e l’espressione della mia creatività attraverso design unici che rendano le persone che li possiedono felici ogni volta che li guardano. Creare il bello.

La seconda è la trasmissione, l’empowerment attraverso la tessitura, essere motore di creatività per tutte quelle ragazze che vengono a fare i miei workshop, e alle quali magari sto cambiando la vita, come è successo a me nel momento stesso in cui ho preso in mano il mio primo telaio.

L’ultima è l’aspetto di comunità: il mio sogno è quello di creare dei collettivi di donne weaver in tutto il mondo. Spesso queste donne sono sfruttate o vivono in comunità rurali che non permettono loro di farsi conoscere oltre i confini del villaggio e non sono minimamente autonome.

Vorrei creare dei progetti con queste donne rendendo contemporanee le tecniche tradizionali di tessitura dei vari paesi e aiutandole ad adattare i loro design lavorando su collezioni o pezzi unici per il mercato occidentale.

In poche parole, vorrei essere la mente digitale e imprenditoriale dietro alle loro creazioni,  rispettando la loro professionalità e garantendo un costo del lavoro equo, che permetta loro di rendersi indipendenti e perché no anche di insegnare le loro competenze e tradizioni a weaver e designer occidentali come me.

Il mio sogno più grande è quello di farle incontrare e lavorare insieme. Ti immagini una tessitrice di Ikat indonesiano al lavoro con una tisserande berbera? Mi commuovo solo a pensarci!”.

Tramandare, dare una trama. A qualcuno, ai posteri, una trama da passare di generazione in generazione. So che da qualche tempo hai iniziato a portare avanti dei corsi di tessitura; come questa esperienza sta cambiando il tuo lavoro di artista tessile?

“Insegnare e trasmettere la mia passione, competenza e amore per il weaving è una delle parti più gratificanti del mio lavoro. Vedere la creatività delle partecipanti sprigionarsi attraverso design unici e personali mi riempie il cuore di gioia. Dare strumenti. Condividere. Creare qualcosa di bellissimo ed essere motore di creatività e di espressione del sé. Fare del bene nel mondo nel mio piccolo, con coerenza e amore”.

L’opera “Don’t Blame me” The mask of dualism. Non incolparmi, la maschera del dualismo ha al centro un maschera appunto, dalla cui bocca fuoriescono fili colorati impossibili da trattenere e che creano un effetto suggestivo. Puoi raccontarmi di quest’opera?

“Ho creato quest’opera di fiber art a marzo 2020, in piena pandemia.  Molto istintivamente mi sono trovata a creare una mascherina, un oggetto che è entrato di forza nelle nostre vite quest’anno e che probabilmente non ne uscirà per molto tempo ancora.

La mascherina ci ha resi tutti uguali, tutti vulnerabili. È terrore e allo stesso tempo speranza, è barriera e allo stesso tempo grande gesto d’amore verso l’altro, è difesa e allo stesso tempo accusa. È proprio di questo costante dualismo, di questo contrasto nel quale l’io e l’altro si fondono, che parla la mia opera.

La tecnica utilizzata è l’annodatura smirne, ogni filo è annodato a un canovaccio in una fitta moquette che impedisce il respiro, che soffoca il suono della voce, che nasconde completamente i tratti del volto ma che allo stesso tempo raffigura una bocca dai rimandi pop dalla quale scorre un fiume di colore, un fiume di parole e di sentimenti, una comunicazione esplosiva tra individui che diventa a tratti giudicante, incontenibile, ingiustificabile.

Per mia grande gioia l’opera è piaciuta alla giuria ed è stata selezionata per MiniArTextil 2020. Sarà in mostra a Como a partire dal 5 dicembre”

In breve, Ilary Bottini, un’artista tessile che con i suoi telai ed i suoi arazzi riesce a farci viaggiare tra tecniche antiche e bisogni attuali, fondendo le due cose e creando pezzi unici ed irripetibili.

Per seguire Ilary Bottini, artista tessile:

Web Site: https://ilarybottini.com/

Instagram: https://www.instagram.com/ilarybottini/?hl=it

Foto di Ilary Bottini

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